La coltura del riso si fa risalire
alla dominazione aragonese ed ebbe il suo incremento nei
secoli XVII e XVIII quando la crisi della pastorizia e
delle attività ad essa connesse portarono a valle molti
contadini poveri a coltivare grano o riso nei pressi
delle paludi.
Il fenomeno delle risaie è presente
nella Provincia di Teramo e precisamente nelle vallate
del Tordino e del Vomano testimoniato da diversi
documenti conservati presso l’Archivio di Stato di
Teramo.
Ma alla veloce, intensa e proficua
diffusione della coltura del riso vennero attribuite le
ricorrenti epidemie che decimavano le popolazioni tanto
da indurre le autorità a prendere provvedimenti tesi a
tutelare la salute pubblica.
Lo storico Nicola Palma narra di un
provvedimento del vescovo di Teramo, Vincenzo da
Montesanto il quale, all’inizio del 1600, aveva proibito
al Capitolo Aprutino “la semina dei risi nel tenimento
di S. Atto, perché pregiudizievole alla salubrità
dell’aria”.
Un dispaccio datato Napoli 16
luglio 1763 del Re Ferdinando IV inviato alla regia
Udienza di Teramo dispone che nella provincia “non si
possa né si debba permettere la semina de’ risi se non
nei territori che siano distanti dagli abitati due
miglia”.
Ma le disposizioni molto spesso
venivano eluse tanto che nel Consiglio Provinciale di
Teramo del 13 ottobre 1817 si chiedeva l’abolizione
della coltura in tutta la Provincia “giacché è ben
chiaro che le risaie sono malefiche ed attaccano
direttamente la prima delle ricchezze, cioè la
popolazione già crudelmente diminuita dalle calamità del
contagio dell’anno corrente”.
Ricerche effettuate dal Maestro Benito Marsilii di
Canzano. |