Atri è posizionata su altura
tricuspidata, quota 442 sul livello marino, posta a
controllo della costa adriatica, della Val Vomano e delle
piccole valli solcate dai Fossi del Gallo, Cerrano,
Sabbione, Reilla e Casoli. Il nome di Atri deriva da
quello della colonia romana di Hatria. Il
significato latino del nome è probabilmente connesso con
l'atrium "parte della casa, così detta perchè affumicata:
ubi et culina erat" (Servio at Verg., Aen.,
I, 726).
Dell'esistenza di un insediamento
fortificato sabino nell'area successivamente occupata
dalla città romana, sono prova il ritrovamento recente di
un insediamento del bronzo finale e prima età del ferro
sul Colle Maraldo di Atri e le necropoli arcaiche di La
Pretara e Colle della Giustizia. La necropoli di La
Pretara fu scoperta alla fine dell'ottocento e scavata,
fra il 1900-1902, dal Brizio e dallo studioso locale V.
Rosati con il ritrovamento di 34 tombe a fossa, databili
fra la seconda metà del VI ed inizi del V secolo a.C, e di
una iscrizione funeraria romana. Quella di Colle della
Giustizia con il ritrovamento nel 1896 di diverse tombe
dello stesso periodo di quelle trovate a La Pretara, di
cui solo due scavate dal Brizio e le altre recuperate
parzialmente dallo studioso locale L. Sorricchio. Dallo
studio dei corredi rinvenuti, citati in precedenza, si
evince una società italica dai caratteri prettamente
guerrieri e legata ad un'economia prevalentemente
agricola. Emergono le tombe dei "capi" con sovrabbondanza
di armi di ferro (gladi a stami, spade e lance) e
vasellame ceramico e bronzeo attestante il "rito del
banchetto".
Con la campagna del 290 a.C da parte
del console romano Curio Dentato il territorio
sabinoadriatico fu completamente conquistato, come i
vicini territori dei Vestini Transmontani, dei Pretuzi e
Liburni. A controllo del territorio sabino-adriatico
conquistato, Roma, fra il 289 e il 283, vi dedusse la
colonia di Hatria (Livio, Per,11), inserita
nella tribù Maecia e distante sei miglia romane dal
Mare Adriatico: posizionata in modo da controllare gli
accessi adriatici verso la montana sabina interna e le
eventuali scorrerie dei Galli Senoni sulla costa
medio-adriatica. Nel primo periodo i coloni romani
racchiusero con una recinzione muraria in blocchi di
puddinga locale i tre colli di Atri e strutturano in forme
ortogonali l'abitato interno posto prevalentemente su
terrazze. Nei primi decenni, dalla fondazione, la colonia
coniò, col permesso del Senato romano, una serie monetale
di "bronzo pesante" con la scritta Hat(ri}.
La storia della colonia atriana si
fonde successivamente con le vicende di Roma: nel corso
della guerra annibalica Hatria rimase fedele a Roma
(Livio, XXVII) e per questo subì l'attacco e la
devastazione del territorio da parte di Annibale (Polibio,
Storie, III, 87-88). Nel II secolo a.C. fu
collegata a Roma tramite la via Caecilia realizzata
dal console Lucio Cecilio Metello nel 117 a.C. (CIL IX,
5933). Dopo lo Guerra Sociale è probabile che i
cittadini di Hatria accedessero alla cittadinanza
romana con la creazione del municipium atriano. Con
la guerra civile Hatria, insieme a Interamnia
e Castrum Novum, aderì al partito di Silla e
divenne probabilmente di nuovo colonia con la deduzione di
veterani sillani: la prova ci è offerta dall'iscrizione di
un Venerius col(oniae) l(ibertus)(CIL IX, 5020). La
città apporre come colonia anche in Plinio il Vecchio (Nat.Hist,
111, 110) e nella celebre iscrizione del santuario di
Monte Giove di Cermignano con dedica a Quinto Fabio
Massimo Paolo, la stessa magistratura
di età imperiale dei duorviri. Con l'età augustea la colonia viene
inserita, insieme a Castro Novo e Interamnia nella Quinta
Regione d'Italia, il Picenum.
Per la piena età imperiale abbiamo
l'attestazione delle cariche pubbliche, oltre a quella
suprema dei duorviri già citati: ricordiamo i magistri
augustales addetti al culto imperiale; i quaestores
quinquennales e l'esistenza di un senatus
locale composto da dieci membri, i decemviri. Di
particolare importanza è la menzione nella Storia
Augusta (Adriano, l) della origine atriana degli
antenati dell'imperatore romano Adriano, che, dedotti come
coloni ad Italica in Spagna da Scipione Africano,
avrebbero conservato nel loro cognome le origini da
Hatria: questo legame affettivo avrebbe portato lo
stesso imperatore a ricoprire la carica cittadina di
curator muneris publicis concedendo alla città
particolari benefici, un nuovo sviluppo urbanistico ed
anche il potenziamento dello scalo portuale adriatico
sulla foce del Matrinus.
Insediamenti rustici legati alla città
sono documentati nelle località: Fondo Pallini, Colle
Morino, Mutignano, Casoli, Colle Petitti, S Martinello; un
vicus di età romana è invece riconoscibile
nell'area di Casoli. Resti di acquedotto romano,
probabilmente relativo alla città, sono segnalati nella
Contrada Cappuccini, mentre le necropoli sono documentate
nelle località Crocifisso, Colle della Giustizia, Casoli,
Fosso della Stufa e S Giacomo.
Dopo Adriano non abbiamo attestazioni
dirette sulla colonia che rimane nella V Regio fino
alla riforma delle provincie di Diocleziano (284-305 d.C),
riforma che vede Atri inserita nella nuova provincia
denominata Flaminia et Picenum. Dopo il 471 risulta
compresa nel Picenum suburbicarum ed è in questo
tempo che abbiamo la prima presenza di una comunità
cristiana nell'interno della città, comunità che però non
riesce od esprimere un Vescovo, carico attestato invece
nelle vicine città di Teramo e Penne. Le successive
invasioni barbariche e la distruttiva guerra
gotico-bizantina mettono in seria crisi la città antica
che appare "distrutta" in età longobarda (Paolo Diacono,
cit.). Con l'arrivo dei Longobardi nel Teramano sul
finire del VI secolo d.C. ciò che rimane della città e il
suo territorio viene inserito nel Ducato di Spoleto fino
all'arrivo dei Normanni nel XII secolo. Della città
alto-medievale, notevolmente contratta rispetto a quella
antica, sono state trovate tracce sul Colle di S. Giovanni
con strutture murarie, pavimenti, focolari e livelli
ceramici di IX e X secolo d.C: nel luogo dovevo sorgere il
monastero benedettino alto-medievale di S. Iohannis de
Cassanello in Atro vetere di cui abbiamo notizie, come
possesso dell'Abbazia dei SS. Quirico, e Giulietta di
Androdoco, dal 1183 fino al termine del duecento (Mon.
Ben., 7).
La prima menzione di Atri nell'alto medioevo è nell'anno
746 d.C in cui il duca longobardo di Spoleto, Lupone,
conferma ai monaci Cassinesi la chiesa di S. Mariae
Maurinis posta nel territorio di Atria: della
chiesa si hanno poi numerosi richiami nella Cronaca
Cassinese fino al 1216 quanto risulta essere possesso di
S. Liberatore a Maiella (Mon. Ben., 8). Altre
fondazioni monastiche erano nel territorio di Atri nel
medioevo, come: il Monasterium sancti Petri de civitate
Adrie delle monache benedettine, citato dal trecento
fino al 1811 (Mon. Ben., 9); S. Benedicti
citato in territorio di Atri in una decima vaticana del
1324 (Rat. Dec., 2787); ed infine Sanctae Mariae
de Hatria, monastero delle monache |
benedettine nel IX-X secolo e poi
passato all'ordine femminile cistercense, corrispondente
all'attuale sito della
Cattedrale di Atri (Mon. Ben.,
259).
Con il IX-X secolo abbiamo le
testimonianze di un gastaldius franco-longobardo
nella città, galstaldo posto alla dipendenza del Comitato
di Penne. Le prime testimonianze degli incastellamenti
dell' area atriana sono del X secolo con la donazione di
Berteramo del giugno del 991 d.C. a Montecassino si nomina
il "castello de monte Petitto" posto nel
territorio della Contea di Penne, riconoscibile ora
sull'attuale Colle Petitti posto a s.o. di Atri (Chron.Casin.,
II, 13, 5). Nella successiva età normanna, fra il
1156-1167, Atrium viene citato come feudo, sito nella
Contea di Penne e del valore di dieci militi (circa 1300
abitanti), del Conte Roberto d'Aprutio (Catal.Bar., 1030).
Nel Diploma di Carlo I d'Angio del 1273 vengono citati sia
il Demonium Adrie sia Sanctus Johannes filtubonj
e l'incastellamento di Li Castellare (Far, 77),
ora riconoscibile sul colle detto "Il Castellaro" di
Mutignano Vecchio. Come è possibile evincere dai documenti
Atri risulta essere il più grande centro della Contea di
Penne dal XII al XIII secolo tanto da diventare sede di
Diocesi nel 1251 ad opera di Innocenzo IV, dopo essersi
liberata dalla dipendenza dei Conti d'Apruzio. E' sul
finire del duecento ed i primi del trecento che la città
si dota della nuova
Cattedrale di S. Maria Assunta con il chiostro collegato, mentre sulla foce del Fosso Cerrano sorge il porto di Penna Cerrani.
Nel 1393 la potente famiglia feudale
degli Acquaviva acquista la città di Atri dal re di Napoli
Ladislao, ed inizia nel secolo successivo la costruzione
del loro Palazzo fortificato sull'area del vecchio foro
della città romana. Con gli Acquaviva Atri conosce un
periodo di notevole fioritura durata quattro secoli:
infatti gli stessi, ormai diventati Duchi di Atri,
ristrutturano nel 1528 le mura medievali atriane con la
costruzione, da parte di architetti militari, di nuovi
bastioni e la realizzazione della Porta di S. Domenico.
Al loro "mecenatismo" si deve la
realizzazione del Campanile della Cattedrale e il ciclo di
affreschi interni opera del famoso Andrea de Litio. Essi
rimangono nella città fino alla metà del XVIII secolo e
segnano con i loro uomini d'arme, come i famosi Giosia,
Andrea Matteo e Giovan Girolamo, tutti gli avvenimenti più
importanti della storia dell'Abruzzo adriatico dal
Rinascimento fino agli inizi del Settecento. Con la morte
nel 1757 della duchessa di Atri Isabella Strozzi, ultimo
erede degli Acquaviva, la città torna in possesso del
Reame di Napoli con una notevole perdita di importanza
rispetto ai secoli precedenti. Della millenaria storia di
Atri rimangono attualmente diverse testimonianze
qualificanti relative alla trasformazione ed evoluzione
del tessuto urbanistico e delle esperienze artistiche
della città dall'antichità al periodo rinascimentale.
Della vecchia cinta muraria romana della colonia
rimangono scarse testimonianze ad esclusione del tratto
murario visibile nello zona "Le Ripe", nel muro del
Convento di S. Lucia, in opera pseudo-quadrata composta da
grandi e medi blocchi di puddinga locale e databile ai
primi anni di vita della colonia. Altri resti della città
antica sono visibili sotto il
Municipio, nella Piazzo del
Duomo, sotto la Cattedrale e nelle cantine del palazzo
dell'ex Orfanotrofio dove sono evidenti le strutture del
Teatro di età augustea (attualmente in avanzata fase di
restauro) in opera laterizia con ricorsi in blocchetti di
calcare: sono ancora evidenti i corridoi anulari interni e
gli ingressi alla summa e la media cavea; a
contatto del
Teatro, fuori dal palazzo, si possono
ammirare i resti di un tratto del muro della recinzione
medievale di Atri datato di torretta rompitratta.
Sulla Piazza del Duomo, protetti da
lastre di vetro, si possono osservare i resti di un
opificio o fullonica con complessi strati e strutture
murarie databili dal III secolo aC al II secolo d.C.
A circa 800 metri dalla Porto Macelli
sono visibili i resti di una complessa conserva d'acqua
romana con pianta a reticolo rettangolo detta Le Grotte,
composto da ben 24 cunicoli comunicanti a sezione
ellittica, scavati nella roccia e rivestiti di opera signina.
La cinta muraria medievale è
cinquecentesca, con i suoi bastioni e le sue ben dieci
porte, non è più visibile ad esclusione di brevi tratti e
di due porte (Porta Macelli e Porta S. Domenico): ben
conservata è la cinta muraria ed una delle porte nel Largo
detto
Porta S. Domenico, con porta rinascimentale
addossata all'omonima Chiesa e composta da lastre di
pietra alla base e laterizio in alto; databile al 1528 -
1530 è composta da arco o sesto acuto e stemma superiore
con materiali lapidei appartenenti a quella precedente
trecentesca. Strettamente collegata al recinto murario è
la Rocca di Capo Atri, fortezza regia costruita nel
1390 da Luigi di Savoia, Vicerè degli Abruzzi, una delle
massime difese della città dagli attacchi esterni.
Successivamente essa fu sede del "castellano della rocca",
dapprima ufficiale regio e poi ducale, dopo l'avvento
degli Acquaviva. Della stessa rimangono possenti resti
murari delle strutture difensive e cisterne interne in
opera laterizia; la parte superiore, il terrazzo, era
utilizzato come torre di avvistamento sulla Valle del
Vomano. Anche ora dalla Rocca si può ammirare la Valle del Vomano con l'imponente massa rocciosa del Gran Sasso e il
Colle della Giustizia, così detto perchè degli Acquaviva
vi fecero erigere i patiboli nel cinquecento.
Senza alcun dubbio il monumento
maggiore della città è lo Cattedrale di S. Maria
Assunta eretta sulla precedente chiesa di Sonctae
Mariae de Hatria delle monache benedettine e
cistercensi, sorta nel IX-X secolo su un ambiente termale
della città antica: della vecchia chiesa rimangono le sole
absidi della navata centrale e in quella di sinistra. Nei
primi decenni del duecento la vecchia chiesa venne
distrutta per cause ancora ignote e la successiva
ricostruzione avvenne utilizzando, e in parte modificando,
la struttura precedente: le tre nuove navate furono
considerevolmente sviluppate in altezza con un accentuato
verticismo tipico dell'arte gotica.
Di diverso orientamento stilistico è la
facciata a coronamento orizzontale in cui compare una
tendenza al gusto romanico con accenni gotici nella
decorazione, come nell'incorniciatura a timpano del
portale e rosone: al centro il bel portale con ricchi
intagli di Rainaldo di Atri e sovrastante grande rosone al
cui culmine, in una nicchia, è la statua della "Madonna
col Bambino". Sul fianco destro si aprono ben tre portali
minori con incorniciatura a timpano e con affreschi nelle
lunette: quello di sinistra, il più ricco di decorazioni,
è firmato da Rainaldo di Atri (iniziatore della famosa
scuola atriana) e datata 1305: quello centrale e quello di
destra sono invece opera di Raimondo del Poggio (1288 e
1302). Sul fianco sinistro si eleva il Campanile, alto
54,50 metri con base massiccia e superiore tamburo
ottagonale (con bifore, occhi contornati da ciotole
maiolicate e |
|
superiore copertura cuspidale) opera della fine del
quattrocento di Antonio da Lodi.
Nell'interno, composto da tre alte navate divise da
arcate ad ogiva, sono visibili: il ben conservato
ciclo degli "affreschi del coro", capolavoro del
famoso Andrea de Litio (1481-1489), in cui viene
narrata la vita di Gioacchino e di Maria con notevoli
rappresentazioni del costume e del paesaggio abruzzese
del XV secolo; resti di un ambiente termale a
pianta circolare del II secolo d.C. con centrale vasca
esagonale e pavimentazione musiva in bianco e nero con
soggetti marini, protetti da lastre di vetro poste sul
pavimento del presbiterio; una interessante
"acquasantiera" raffigurante una donna in costume
tradizionale atriano, posta sul secondo pilastro a
destra; un "battistero" cinquecentesco di matrice
lombarda e numerosi affreschi parietali del XIII e XIV
secolo.
Dalla chiesa si accede al Chiostro degli
inizi del XIII secolo a due ordini di arcate a
sesto acuto ed a tutto sesto; nel centro
è un raffinato pozzo del XVIII secolo decorato
da volute. Lo stesso Chiostro accoglie un Lapidario e
il Museo Capitolare che conserva pregevoli opere
(codici miniati, incunaboli, sculture lignee,
paramenti sacri, ceramiche abruzzesi dal XVI al XIX
secolo e una pinacoteca) fra cui un "polittico ligneo
policromo" abruzzese, con influssi di maestri veneti,
del XV secolo decorato da cinque sculture e piccoli
tabernacoli a guglie e pinnacoli. Nell'interno sono
anche conservati materiali lapidei antichi: una bella
stele con busto femminile, dexstrarum iunctio
(il rito della stretta di mano), cavaliere armato e
iscrizione con i nomi di Hortesia Secunda e del
marito Publio Aninio Sabino; frammenti di
pavimento decorato da mosaico in bianco e nero
con raffigurazioni di un cavallo marino e un fregio
vegetale provenienti dall'ambiente termale della
Cattedrale; diverse stele funerarie di età imperiale e
cippi con iscrizioni; un interessante esemplare di
urna cineraria del I secolo d.C a forma di "cofanetto
peligno" con rappresentazione della serratura e
manico, decorato da girali vegetali.
Sotto S. Maria Assunta vi è una grande cisterna
antica, trasformata in cripta della Cattedrale, parte
dell'edificio termale presente nell'area della chiesa.
L'accesso, posto sotto il campanile, presenta un
architrave con iscrizione mutila che ricorda la
costruzione di un edificio (le terme?) decorato da
alcune statue. La cisterna consiste in un grande
invaso quadrangolare (m 25 X 28) con pareti in opera
quadrata di puddinga locale rivestite di cocciopesto e
pavimento anch'esso rivestito in signino. A questa
prima fase, del III secolo a.C., ne segue un'altra nel
II secolo d.C. con la realizzazione dei 20 piloni in
laterizio che formano cinque navatelle e sostengono
volte a crociera. Successivamente, nell'alto medioevo,
l'ambiente fu trasformato in cripta della
chiesa di S Maria conserva un ciclo di affreschi
databili agli inizi del XV secolo.
Sul fianco destro, collegata alla
Cattedrale, è la chiesa settecentesca di S.
Reparata che conserva un notevole "baldacchino
ligneo" del 1677 (prima nella Cattedrale) di Carlo
Riccione, creato ad imitazione di quello più famoso
del Bernini in S. Pietro al Vaticano.
Sulla Piazza del Duomo si prospetta
la facciata del Teatro Comunale, edificato nel 1881 ad
imitazione di quello della Scala di Milano.
Notevole esempio dell'architettura
civile atriana del XV-XVI secolo è il Palazzo
Acquaviva, sede della famosa famiglia dal XIV al
XVIII secolo, ora Municipio. Edificato nel trecento da
Antonio Acquaviva su una grande cisterna a più navate
di piena età imperiale (ambienti visibili sul cortile
interno) situata ai margini del foro della città
antica, esso venne ampiamente ristrutturato nel
cinquecento, secolo che vide gli Acquaviva assumere il
titolo di Duchi di Atri. La facciata attuale si
presenta nella sua ristrutturazione settecentesca con
sovrastante agile "Torre Civica" con orologio
Nell'interno è il "Cortile" con loggiato di
ispirazione romanico-gotica e reperti antichi: un
mosaico del III secolo a.C. con frammentaria
iscrizione in cui si accenna a lavori appaltati dai
magistrati della colonia; un pezzo di sarcofago
dionisiaco del III secolo d.C. con incontro fra Bacco
ed Arianna; una iscrizione con dedica a Marco Aurelio.
Sul Corso Elio Adriano, strada che conserva
l'orientamento dell'asse viario principale est-ovest
(cardo) della città romana, è la chiesa di
S. Agostino del XIV secolo con piccolo campanile
simile a quello della Cattedrale: il portale di stile
tardo-gotico è opera quattrocentesca di Matteo di
Napoli, mentre nell'interno è visibile un affresco di
Andrea di Litio. Sempre sullo stesso Corso prospetta
la facciata della chiesa di
S. Francesco
con barocca e scenografica scalinata a doppia rampa,
chiesa rifatta nel settecento dall'architetto Fontana
di Penne dopo la distruzione della precedente chiesa
trecentesca.
Altre chiese sono presenti nell'interno del centro
storico su stradine e piazzette che prendono il
nome dalle stesse: quella di Santa Chiara (con
annesso Convento delle Clarisse, del duecento, ma
ristrutturata nel cinquecento; S. Nicola
dell'XI secolo, ma ricostruita nel 1256 da un tal
Mastro Gianni; S. Spirito del XII
secolo, ma rifatta nel settecento. Particolare
importanza riveste quella di S. Domenico,
posta accanto alla omonima Porta, con la facciata
che conserva, nella parte inferiore, l'antica cortina
con corsi alternati di cotto e pietra e un bellissimo
portale del trecento con due teste mitrate vescovili:
l'interno settecentesco, con pianta ad una sola navata
e cappelle laterali, presenta un"'altare ligneo" del
seicento con tela dello stesso secolo; nel presbiterio
sono tre belle tele del 1789 di Giuseppe Prepositi; il
soffitto è decorato da affreschi settecenteschi di G.
Battista Savelli.
Fuori dell'abitato, in vicinanza
delle vecchie porte medievali, erano in passato
presenti ben 16 fontane di cui solo sette sono
parzialmente conservate. Fra queste notevole
importanza assume la Fonte Canala, di portata
perenne e posta a circa 500 metri da Porta S.
Domenico; dalla struttura trecentesca ma che utilizza
un perfezionato impianto idrico di età repubblicana
romana. La fontana è formata da sei fornici con arco a
sesto acuto con nell'interno sei vasche alimentate da
un cunicolo maggiore e due laterali minori, cunicoli
rivestiti da antiche Tegulae mammatee. La fonte
doveva, in antico, far parte di un santuario atriano
di età repubblicana dato il ritrovamento nell'area di
materiali fittili decorativi e votivi (lastre
architettoniche ed exvoto), di materiali da
costruzione, di un capitello ed iscrizione.
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